L’Estudiantes e la rivoluzione del ’68
29 Giugno 1986. La Nazionale argentina ha da pochi minuti sollevato al cielo dell’Azteca la Coppa del Mondo. Negli spogliatoi, nel bel mezzo della festa, il commissario tecnico della Selección, Carlos Salvador Bilardo, non riesce a trattenere le lacrime dall’enorme commozione. In quei momenti tutti i suoi pensieri e tutte le sue parole sono dedicati al ricordo di colui che è stato il suo più grande maestro, Osvaldo Juan Zubeldía.
C’è da capirlo: ai tempi d’oro dell’Estudiantes i due erano legati da uno splendido rapporto di fiducia. Non era il semplice rapporto professionale tra allenatore e giocatore, era qualcosa di più profondo: una stima reciproca e incondizionata protratta per molti anni. Proprio questa avrebbe consegnato in eredità a Carlos Bilardo tanti insegnamenti indispensabili a migliorarlo sia come allenatore che come uomo, e ad Osvaldo Zubeldía la certezza di aver lasciato indelebilmente il segno sia nella storia del calcio argentino, sia, soprattutto, nel cuore dei suoi ex “allievi”. Sfortunatamente Zubeldía non potè assistere al trionfo di Bilardo e dei suoi ragazzi in terra messicana, dal momento che era prematuramente scomparso il 17 gennaio del 1982. Tuttavia la sua figura non è mai stata dimenticata, così come in realtà sono ancora vivi ed attuali i ricordi di quell’autentico capolavoro calcistico da lui realizzato negli anni ’60 e ’70: il grande Estudiantes La Plata.
Fu proprio in quel periodo che la squadra argentina entrò di diritto a far parte dell’aristocrazia del calcio sudamericano e non solo. Se nei decenni precedenti si pronunciava il nome “Estudiantes”, a tutti veniva in mente una società dalla lunga storia e con una tifoseria particolarmente calorosa, ma dalle poche vittorie, considerando i tanti campioni che ne avevano indossato la maglia. Nel 1968, invece, il mondo del calcio fu costretto a fare i conti con una nuova splendida realtà calcistica, una corazzata guidata in panchina da un allenatore giovane ed innovatore, e trascinata sul campo dal carattere e dallo spirito di sacrificio dei suoi giocatori-simbolo: dall’esperto centrocampista Bilardo all’arcigno terzino Oscar Malbernat; dalla talentuosa ala sinistra Juan Ramón Verón all’agguerrito Ramón Aguirre Suárez.
La prima grande impresa, l’undici di Zubeldía la compì in Coppa Libertadores, il massimo trofeo sudamericano a livello di club. Al termine di una marcia trionfale, l’Estudiantes riuscì a coronarsi meritatamente campione del Sudamerica dopo aver surclassato in finale i temibili brasiliani del Palmeiras. Fu il primo trionfo di una “piccola” in Coppa Libertadores: una piccola che stava diventando sempre più importante. Nel frattempo, ancora con addosso l’esaltazione per il successo nella Libertadores, l’Estudiantes attendeva con trepidazione il nome della squadra campione d’Europa, ovvero i futuri avversari per la conquista della Coppa Intercontinentale.
Il verdetto arrivò alla fine di quello storico maggio 1968, con la consacrazione degli inglesi del Manchester United. E anche il loro titolo si rivelò meritatissimo: non solo perché impreziosito dall’altissimo livello di classe dei suoi portabandiera, ma anche perché premiava in modo adeguato una società che dieci anni prima era stata colpita da un’indicibile tragedia come l’incidente aereo a Monaco di Baviera, costato la vita a otto dei suoi giocatori.

Quel 6 febbraio 1958 il destino si era accanito con una ferocia devastante su una delle più forti formazioni europee del periodo, una squadra animata dal formidabile talento dei suoi giovani assi e istruita alla perfezione da un allenatore, o meglio, da un autentico maestro di vita come lo scozzese Matt Busby. Proprio Busby, miracolosamente scampato al rogo del bimotore della BEA, è questa volta, come allora, il tecnico dello United, mentre il capitano, l’uomo di maggiore carisma della squadra, è quel Bobby Charlton che, così come il suo coach, era uscito gravemente ferito, ma vivo, dall’inferno di Monaco.
Sono proprio loro due gli emblemi di questa rinascita del Manchester. Entrambi hanno avuto la grande forza di guardare avanti e di portare felicemente a termine la corsa alla cosiddetta “Coppa dalle grandi orecchie”, già iniziata a suo tempo, e interrotta in quel modo così tragico, da quelli che tutto il mondo calcistico conosceva come The Busby Babes (i Bimbi di Busby). In quel formidabile Manchester United Campione d’Europa 1968 giocavano ben tre Palloni d’Oro: un pedigree che nessuna squadra europea poteva vantare. Lo scozzese Law era uno di quei tre, giustamente premiato nel 1964. Non per niente era un attaccante squisito, dal tocco morbido e preciso, sempre generosamente al servizio della squadra. Poi c’era Charlton, eletto miglior giocatore europeo nel 1966, l’anno in cui aveva guidato la nazionale inglese alla vittoria del Mondiale. Infine George Best, un talentuosissimo nordirlandese di 22 anni, che l’ambito Pallone d’Oro l’avrebbe ricevuto proprio in quel 1968. Best non è solo un’ala sinistra, sarebbe troppo riduttivo definire George solo “ala sinistra”: è un fuoriclasse, un artista del calcio. Come molti sapranno, in quegli anni erano esplosi, prima in Francia per poi estendersi all’intera Europa Occidentale, i movimenti di protesta studenteschi contro la società contemporanea, della quale non accettavano le idee e la mentalità ancora rivolta al passato. George Best è stato anche lui uno dei tanti simboli del Sessantotto, lui che ha sempre avuto quell’indole un po’ ribelle, quella personalità talmente forte che lo spingeva a rifiutare ogni sorta di potere istituito: il classico genio senza regole, non soltanto dal punto di vista calcistico.
Law-Charlton-Best: con questi tre fuoriclasse, il Manchester United ha dunque l’onere e l’onore di affrontare gli ostici Argentini dell’Estudiantes La Plata per la conquista del titolo di campione del mondo per club. Ovviamente i favori del pronostico sono tutti per gli inglesi, i quali vantano un potenziale tecnico senza precedenti. Uno dei pochi loro interpreti a non garantire grandi soluzioni dal punto di vista tecnico è il famoso (o famigerato) Nobby Stiles, centrocampista difensivo dai metodi decisamente poco ortodossi.

Ma Stiles era solo il primo di una lunga lista, dal momento che anche nell’Estudiantes c’erano elementi senza nulla da imparare in fatto di grinta. Del resto, Zubeldía era un tecnico che prediligeva ogni sorta di manfrina per intimidire gli avversari, e in ciò aveva trovato nel “fido” Bilardo (uno dei più grandi provocatori della storia del calcio argentino) un importante proselito. La prima delle due attese partite era prevista a Buenos Aires e non a La Plata, visto che lo stadio La Bombonera era ben più capiente dello stadio in cui l’Estudiantes giocava abitualmente, tuttavia per il Pincha (così veniva soprannominata la squadra platense) era in tutto e per tutto un match casalingo. Quel 25 settembre gli uomini capitanati da Oscar Malbernat non temevano niente e nessuno. Erano sicuri che tutto il loro lavoro e tutta la loro dedizione negli allenamenti avrebbero dato i loro frutti. E questi ultimi arrivarono con il gol della vittoria siglato da Marquitos Conigliaro con un suo tipico colpo di testa.
Soltanto il più imprudente dei tifosi dell’Estudiantes poteva però pensare che la pratica fosse definitivamente sbrigata. C’era ancora da giocare il ritorno in Inghilterra, a Manchester, particolarmente difficile, almeno sulla carta.
È il 16 ottobre 1968: un’altra gloriosa pagina di storia del fútbol argentino aspetta solo di essere scritta dall’Estudiantes La Plata. Più che uno stadio, l’Old Trafford sembra un’arena, con più di 60mila tifosi desiderosi di gustarsi un grande spettacolo di calcio. L’Estudiantes difende l’1-0 di Buenos Aires con la stessa identica formazione dell’andata. Davanti al portiere Alberto Poletti trova spazio l’affidabile difesa formata dal capitano Malbernat, da Ramón Aguirre Suárez, da Raúl Madero e da José Medina. Quattro atleti di assoluto valore e dal rendimento costante, ma soprattutto particolarmente generosi. A centrocampo ecco i “soliti noti”: Carlos Bilardo, Carlos Pachamé e Néstor Togneri. Bilardo è colui che incarna l’essenza del calciatore Pincha: è scaltro, gioca spesso al limite del regolamento, ma è anche un punto di riferimento imprescindibile per i compagni. Pachamé, diversamente, è l’elemento chiamato a dare equilibrio nella zona nevralgica del rettangolo verde, mentre a Togneri tocca il più arduo dei compiti: non lasciare un attimo di respiro a Bobby Charlton. Infine, l’attacco, formato da Felipe Ribaudo, Marcos Conigliaro e Juan Verón: il primo è un giocatore estremamente umile, di quelli che non si risparmiano mai. Tutta la tifoseria gli è grata per i sei gol segnati nella vittoriosa Copa Libertadores, specialmente per quello segnato al Palmeiras nella “bella” della finale al Centenario di Montevideo. Il secondo è un centravanti apprezzato per opportunismo ed intelligenza tattica, mentre Verón è affettuosamente soprannominato La Bruja, la strega, perché in grado di dipingere giocate diaboliche che ingannano facilmente i difensori avversari (quasi per diritto dinastico, anche il figlio Juan Sebastián Verón sarà soprannominato La Brujita, ovvero la streghetta). È giovane, ha ventiquattro anni, ma ha già una discreta esperienza e, soprattutto, è molto ambizioso.
Dall’altro lato della barricata, Matt Busby deve fare di necessità virtù dopo l’espulsione e la conseguente squalifica di Stiles a Buenos Aires. Il tecnico scozzese aveva però superato situazioni ben più difficili, sia sul campo che nella vita, e la formazione che manda in campo testimonia tutta la sua fiducia: tra i pali Alex Stepney, poi Tony Dunne, Bill Foulkes, David Sadler e Shay Brennan a comporre la difesa e il trio Paddy Crerand-Brian Kidd-Bobby Charlton a centrocampo. L’attacco è, come al solito, delimitato sulle fasce da Morgan e Best in supporto al centrale Law. Ovviamente è superfluo dire che non solo Busby, ma tutti i tifosi inglesi erano certi che non ci sarebbe stata partita, e che il Pincha sarebbe stato travolto dalla furia dei Red Devils, come venivano e vengono tuttora chiamati i giocatori del Manchester United.
Non potevano immaginare neanche lontanamente che i loro beniamini sarebbero usciti sconfitti in quello che consideravano un po’ il loro tempio sacro. Forse anche per questo, all’entrata in campo dei portacolori dell’Estudiantes, i tifosi inglesi iniziarono ad intimidire i rivali con fischi e insulti. Quegli stessi insulti, però, non fecero altro che dare maggiori motivazioni agli irriducibili platensi. L’inizio della partita è un dominio bianco (nel senso che l’Estudiantes indossava un’elegantissima casacca “blanca”).
Sono passati solo pochi minuti dall’inizio delle ostilità che Madero si incarica della battuta di un calcio di punizione. Lo indirizza con un sinistro ad effetto sul secondo palo, giusto per l’accorrente Verón, che con un gran colpo di testa fredda il portiere Stepney e l’intero Old Trafford.

Ancora un colpo di testa è fatale allo United, dopo quello di Conigliaro alla Bombonera di Buenos Aires. L’Estudiantes sa che dovrà soffrire ancora moltissimo, ma ha anche un buon vantaggio, perché il regolamento obbliga Best e soci a vincere questa partita, se vogliono prolungare la serie fino all’eventuale spareggio previsto ad Amsterdam. Il Manchester United, infatti, si butta subito a capofitto alla ricerca del pareggio. L’Estudiantes ovviamente si difende, resiste, controbatte colpo su colpo ogni azione offensiva degli avversari decisi al tutto per tutto. Ogni giocatore di Zubeldía sa cosa deve fare, chi marcare, quando e se attaccare, dove e con quale intensità pressare l’avversario. Verso la fine del primo tempo, Law è costretto ad abbandonare il terreno di gioco a causa di un violento scontro di gioco che gli ha provocato una brutta ferita alla gamba. Al suo posto entra Carlo Sartori, promettente giocatore italiano di nascita, ma inglese di scuola calcistica.
Nella ripresa il copione non cambia molto, con Charlton e compagni che le provano tutte e con i Pinchas che si difendono in ogni modo, agevolati dalla serata di grazia del portiere Poletti. Intanto al 71′ Osvaldo Zubeldía sostituisce Felipe Ribaudo con il giovane talento Juan Echecopar, che proprio quel 16 ottobre festeggia il suo ventiduesimo compleanno. Mancano ormai meno di 20 minuti al termine, e l’Estudiantes vede avvicinarsi il traguardo tanto desiderato. Memorabile per i tifosi argentini che dall’altra parte dell’Oceano seguono la partita alla radio è la cronaca del famoso José María Muñoz, che direttamente dall’Old Trafford commenta con trasporto le gesta dei ragazzi di Zubeldía.
Nei minuti finali non poteva mancare l’espulsione, anzi, le espulsioni. L’arbitro Zečević caccia dal campo sia José Medina che Best, autori di reciproche scorrettezze, mentre a tempo ormai scaduto lo United ha un sussulto d’orgoglio grazie a Willie Morgan, che trova il gol del pareggio. Ma l’illusoria riscossa dei Red Devils si infrange sul triplice fischio di Zečević in un’atmosfera quasi surreale. L’Estudiantes è la squadra di club campione del mondo.